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a cura di Gaetano Scalise

  [Sent. sez. 4, n. 10175 del 04/03/2020 (dep. 16/03/2020) RV. 278673-01]

(Con il contributo del dott. Jacopo Maggiorotti)

Pubblicato sul sito della Società Italiana di Pediatria nel giugno 2020.

Il ‘no’ della Cassazione ad un giudizio che non tenga conto delle condizioni del caso specifico, e che si limiti al mero rinvio alle linee guida come fondamento della decisione di merito, senza adeguata valutazione del nesso causale.

La massima. – II. Il caso. – III. Le soluzioni giuridiche. – IV. Osservazioni.

 LA MASSIMA

         Secondo la Suprema Corte, <<In tema di responsabilità medica per omissione, l’accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l’effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente>>.

IL CASO

In primo e in secondo grado, un medico viene condannato per omicidio colposo (art. 589 cod. pen.) nonché al risarcimento del danno verso le parti civili perché, nella sua qualità di medico in servizio presso il reparto di cardiologia, cagionava il decesso della paziente. Nello specifico la morte avveniva a causa di insufficienza cardiocircolatoria acuta da trombo embolia polmonare massiva per trombosi venosa profonda, con colpa consistita in imprudenza e negligenza e più precisamente nell’omessa prescrizione e somministrazione di adeguata terapia profilattica antitrombotica a base di derivati eparinici, terapia che, se tempestivamente somministrata, avrebbe potuto scongiurare l’evento.

La sentenza viene impugnata con ricorso per cassazione sulla base di molteplici motivi. Nella presente disamina ci si soffermerà solo su alcuni di essi.

In primo luogo, viene contestata dalla ricorrente la lacunosità della motivazione riguardo la causa della morte. Secondo l’imputata infatti non si poteva escludere che il decesso fosse dovuto ad embolia autoctona della vena cava invece che da una trombosi venosa negli arti inferiori e, quindi, da un evento imprevedibile ed inevitabile o, comunque, non collegabile alla condotta del sanitario.

Il secondo motivo di impugnazione che richiede attenzione riguarda la posizione di garanzia assunta dal medico. La ricorrente contesta di aver assunto una posizione di garanzia nei confronti della vittima basando tale censura sul ruolo di mero consulente[1] che questi rivestiva presso l’ospedale in cui avveniva il decesso della paziente.

Di centrale importanza è invece il terzo motivo di doglianza avente ad oggetto il vizio motivazionale in ordine alla violazione dell’art. 40 cod. pen.  in merito alla sussistenza del nesso di causalità, ritenuto esistente senza che venisse eseguito un adeguato giudizio contro-fattuale per valutare se, effettivamente, la somministrazione dell’eparina avrebbe escluso il decesso o se, invece, avrebbe esposto il paziente al rischio emorragico.

[1] Il medico non era strutturato, e aveva un contratto di collaborazione per 4 ore e per 5 giorni alla settimana.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE 

Procedendo con ordine, la Suprema Corte ha ritenuto corretta l’individuazione da parte del Tribunale della causa del decesso nella trombosi profonda venosa, prevedibile ed evitabile.

Così come ha ritenuto che la posizione di garanzia verso un soggetto, dipende dall’attività svolta in suo favore e dai rapporti con lui instaurati. Argomentando che non può dipendere dal tipo di rapporto contrattuale intercorso con un terzo (nel caso di specie il nosocomio presso cui l’imputata rivestiva il ruolo di consulente).

Aderendo ad un principio già noto, la Corte, sulla posizione di garanzia, dunque, afferma che <<può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante purché l’agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente, consistente nella presa in carico del bene protetto>> (Cassazione penale sez. IV, sentenza n. 37224/2019).

 Pertanto, secondo la Corte di legittimità, il medico, anche se mero consulente, avendo visitato quotidianamente la paziente aveva assunto nei suoi riguardi una posizione di garanzia di fatto.

Gli ermellini invece, hanno ritenuto fondata la censura avente ad oggetto il vizio motivazionale in ordine alla violazione dell’art. 40 cod. pen. in merito alla sussistenza del nesso di causalità, affermato in assenza di un adeguato giudizio contro-fattuale, necessario per valutare se, effettivamente, la somministrazione dell’eparina avrebbe escluso (al di là di ogni ragionevole dubbio) il decesso o se, diversamente, avrebbe esposto il paziente a rischio emorragico (tanto che la motivazione si limitava ad affermare il nesso causale alla luce del mero dato statistico ed astratto).

Il giudizio contro-fattuale che, secondo costante giurisprudenza, risulta necessario per stabilire se la condotta umana ha realmente causato l’evento, deve basarsi non soltanto su affidabili informazioni scientifiche ma anche sulle contingenze del caso specifico.

Ebbene, in tema di giudizio contro-fattuale la Corte, richiede di comprendere da un lato, quale sia l’andamento della patologia in concreto accertata, dall’altro, quale sia normalmente l’efficacia delle terapie e, in ultimo, quali siano i fattori che influenzano il successo degli sforzi terapeutici. Infatti, il nesso causale – sottolinea la Cassazione – può essere ritenuto sussistente quando, sulla base degli elementi appena richiamati, l’effetto salvifico dei trattamenti terapeutici omessi <<sia caratterizzato da elevata probabilità logica, ovvero sia fortemente corroborata alla luce delle informazioni scientifiche e fattuali disponibili>> (Cassazione penale sez. IV, sentenza n.32121/2010).

Nello specifico, la motivazione è apparsa lacunosa rispetto alla individuazione dell’effettiva elevata probabilità logica dell’efficacia salvifica delle cure omesse, indentificata in termini generici nella significativa riduzione del rischio del verificarsi della complicazione tromboembolica senza alcuna risposta alle doglianze della difesa sul punto.

          La Corte, nel ritenere fondato il motivo di ricorso, ha chiarito che <<a fronte di due pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa su circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che hanno, tuttavia, caratterizzato il caso esaminato dal medico, la decisone dei giudici di merito che scelga tra le due posizioni non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete>>. Le linee guida dunque, non possono escludere che il medico alla luce della condizione specifica del paziente, individui altri elementi concretamente sintomatici del rischio emorragico. Il medico deve sempre valutare il caso concreto per decidere se optare per una terapia diversa rispetto a quella prevista dalle linee guida. Esse, infatti, essendo elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete. E dunque, seppure la legge scientifica accreditata richiamata dai giudici di merito prescrive la somministrazione dell’eparina per scongiurare la trombosi, occorreva tenere conto che l’utilizzo dell’eparina poteva avere delle controindicazioni (quale ad esempio il rischio di emorragia) e nel caso in cui fossero state presenti (come nel caso di specie) altre patologie che ne sconsigliavano l’utilizzo. L’eparina infatti avrebbe potuto scongiurare la trombosi ma provocare la morte per altra causa.

Le linee guida devono quindi essere prese in considerazione tenendo conto che queste prevedono una casistica astratta e di conseguenza sarà sempre necessario verificare se, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, non sia doveroso discostarsene al fine di meglio garantire la salute del paziente. 

Per le ragioni sopraesposte la sentenza viene annullata e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per un nuovo esame.

Gli ermellini invece, hanno ritenuto fondata la censura avente ad oggetto il vizio motivazionale in ordine alla violazione dell’art. 40 cod. pen. in merito alla sussistenza del nesso di causalità, affermato in assenza di un adeguato giudizio contro-fattuale, necessario per valutare se, effettivamente, la somministrazione dell’eparina avrebbe escluso (al di là di ogni ragionevole dubbio) il decesso o se, diversamente, avrebbe esposto il paziente a rischio emorragico (tanto che la motivazione si limitava ad affermare il nesso causale alla luce del mero dato statistico ed astratto).

Il giudizio contro-fattuale che, secondo costante giurisprudenza, risulta necessario per stabilire se la condotta umana ha realmente causato l’evento, deve basarsi non soltanto su affidabili informazioni scientifiche ma anche sulle contingenze del caso specifico.

Ebbene, in tema di giudizio contro-fattuale la Corte, richiede di comprendere da un lato, quale sia l’andamento della patologia in concreto accertata, dall’altro, quale sia normalmente l’efficacia delle terapie e, in ultimo, quali siano i fattori che influenzano il successo degli sforzi terapeutici. Infatti, il nesso causale – sottolinea la Cassazione – può essere ritenuto sussistente quando, sulla base degli elementi appena richiamati, l’effetto salvifico dei trattamenti terapeutici omessi <<sia caratterizzato da elevata probabilità logica, ovvero sia fortemente corroborata alla luce delle informazioni scientifiche e fattuali disponibili>> (Cassazione penale sez. IV, sentenza n.32121/2010).

 Nello specifico, la motivazione è apparsa lacunosa rispetto alla individuazione dell’effettiva elevata probabilità logica dell’efficacia salvifica delle cure omesse, indentificata in termini generici nella significativa riduzione del rischio del verificarsi della complicazione tromboembolica senza alcuna risposta alle doglianze della difesa sul punto.

 La Corte, nel ritenere fondato il motivo di ricorso, ha chiarito che <<a fronte di due pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa su circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che hanno, tuttavia, caratterizzato il caso esaminato dal medico, la decisone dei giudici di merito che scelga tra le due posizioni non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete>>. Le linee guida dunque, non possono escludere che il medico alla luce della condizione specifica del paziente, individui altri elementi concretamente sintomatici del rischio emorragico. Il medico deve sempre valutare il caso concreto per decidere se optare per una terapia diversa rispetto a quella prevista dalle linee guida. Esse, infatti, essendo elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete. E dunque, seppure la legge scientifica accreditata richiamata dai giudici di merito prescrive la somministrazione dell’eparina per scongiurare la trombosi, occorreva tenere conto che l’utilizzo dell’eparina poteva avere delle controindicazioni (quale ad esempio il rischio di emorragia) e nel caso in cui fossero state presenti (come nel caso di specie) altre patologie che ne sconsigliavano l’utilizzo. L’eparina infatti avrebbe potuto scongiurare la trombosi ma provocare la morte per altra causa.

Le linee guida devono quindi essere prese in considerazione tenendo conto che queste prevedono una casistica astratta e di conseguenza sarà sempre necessario verificare se, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, non sia doveroso discostarsene al fine di meglio garantire la salute del paziente.

Per le ragioni sopraesposte la sentenza viene annullata e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per un nuovo esame.

OSSERVAZIONI

La pronuncia esaminata si colloca in perfetta successione con la giurisprudenza ormai consolidata in tema di accertamento del nesso di causalità. La ricerca dello stesso – secondo un giudizio di alta probabilità logica, fondato non soltanto su affidabili informazioni scientifiche, ma tenendo conto anche delle circostanze del caso concreto -, non può (e non deve) basarsi sul mero richiamo al dato statistico prescindendo dalla situazione concreta.

Nello specifico la Corte di Legittimità, nel decretare la lacunosità della motivazione della sentenza impugnata,  ha sottolineato che, l’accertamento del nesso di causalità, nel tenere conto della situazione concreta deve avere riguardo alle condizioni specifiche del paziente nonché al lasso temporale intercorso dal momento in cui sarebbe insorta la doverosità della terapia al  momento del decesso; ai tempi ordinari e specifici di efficacia della terapia omessa; alla stessa evoluzione della patologia e, in ultimo, all’analisi del relativo grado di gravità al momento in cui si sarebbe dovuta iniziare la terapia omessa.

Il secondo aspetto su cui porre l’attenzione attiene alle linee guida. Il ruolo centrale che queste hanno assunto nel dibattito medico-giuridico degli ultimi anni non è un mistero: a partire dagli ultimi interventi legislativi (legge 189/2014 cd. Legge Balduzzi e, la 24/2017 cd. Legge Gelli) fino ad arrivare alle più recenti pronunce giurisprudenziali, il ruolo delle leggi scientifiche accreditate (cd. linee guida) non ha ancora ottenuto una lettura univoca. A seguito di diverse sentenze della Cassazione che hanno a più riprese richiamato la non vincolatività in senso assoluto delle linee guida per decretare la condanna di un medico – emblematicamente si è arrivati a sostenere che il rispetto delle stesse <<a scapito dell’ammalato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile o anche solo morale>> (Cassazione penale sez. IV, sentenza n. 24455 del 2015) – , oggi, con quello che appare auspicabilmente un cambio di rotta, il richiamo alla non vincolatività in modo assoluto delle leggi scientifiche fonda l’annullamento di una sentenza di condanna.

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